Vibrazioni Rigenerative

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Appunti di viaggio  

“Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudizi, del proprio cuore; si ha paura del sonno, del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte. Specialmente di quest’ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti.
In realtà c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni certezza possibile… c’è una sola arte, una sola dottrina…un solo mistero: lasciarsi cadere, non opporsi recalcitrando alla volontà dell’Esistenza, non aggrapparsi a niente, né al bene né al male.

Allora si è redenti, liberi dalla sofferenza, liberi dalla paura.”

Hermann Hesse

 


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PIOVONO LUMACHE

Proprio ora, davanti ai miei occhi si stanno aprendo i papaveri. Dopo la tempesta di ieri sera ho creduto che il giardino non si sarebbe più risvegliato da quell’inaspettato e turbolento autunno in piena primavera, stamattina invece, aveva smesso di piovere, gli uccellini cinguettavano e un tiepido sole incerto ringraziava il giorno. Che la natura sia davvero la più vera espressione della fede?

Deve essere questa la felicità, forse non l’ho mai provata fino ad ora. Ho provato qualcosa chiamata felicità, al momento opportuno, quando era richiesta dalla circostanza, ma non era questo. Ero felice? Apparentemente lo ero. Ma questo tipo di felicitá è un’altra cosa, questa è mia, arriva da me, da qualche parte dal mio universo, dalla mia realtà. Sto finalmente vivendo e partecipando alla mia vita? Questa è la mia realtà e non mi sento più tanto legata e dipendente dalle mie origini. Mi sento…da quelle, in avanti…un senso di presenza limpida e poi il silenzio. Incredibile. Dal silenzio posso sentire tutto.

Quanti uccellini diversi ci sono nel mio giardino? Decine di specie, come di alberi, sopratutto aceri, screziati di rosso e tanto verde. Camminando al mattino prestissimo faccio attenzione a non calpestare le lumache che si avviano decise seguendo la collina, se una capita sotto il mio piede, la percepisco sul bordo o sulla suola dello stivale, perché ormai ho imparato a riconoscere ogni suono, percepisco sopratutto quello che accade sotto i miei piedi. I rumori di sotto sono più nitidi al mattino, quando ancora tutto ciò che accade sopra, non si è svegliato. Questo giardino è praticamente un piccolo parco, mi ci sono volute venti primavere prima di esplorarlo tutto rendendo ogni piccola zona un vero incanto. Almeno per i miei occhi, che volevano oltre questo, veder sparire lentamente ogni ramo, asse di legno, mattoncino e cannetta di bamboo abbandonata in giro e trovarne una giusta collocazione. Partivo dal presupposto che ogni cosa che si trovava lì, così come c’ero arrivata io, doveva avere un senso che andava onorato ciecamente.

Come ho fatto? Non so come ho fatto, era tutto già disegnato da qualche parte, io copio solo i disegni che si presentano e in quel momento, davanti al mio sguardo, dentro di me, sopra e sotto, nulla mi può fermare. Se è impossibile per le mie forze, mi dico: chi mi impedisce di farlo? Se non credo di avere la soluzione a un problema mi chiedo: e se l’avessi? E inevitabilmente arriva un’idea che mi porta verso la soluzione, a volte invece, arriva lui.

Lui non ha il berretto e si sta bruciando la testa pelata. È un vero miracolo quando si fa vedere in giardino e il momento più bello, è quando sento il tagliaerba partire e tutto il mio lavoro prende un senso perfetto. Una palpitazione del cuore. Non si è mai in nessuna isola, in nessun giardino, se non in quello che si vive nel cuore da sempre, da prima di sempre.

(Myo, marzo 2012)


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QUANDO FIORISCE IL MIRTO

Il maestro mi ha insegnato come prima cosa, a volare senza ali.

Volare senza ali, ci vuole una capacità incredibile a farlo con le ali sepolte dalla memoria…proiettata avanti mentre mi trascino il peso….che immagine patetica…e se le aprissi, le ali?

Se riscrivessi la mia storia, la mia realtà? E ricreassi il mio Universo riscrivendo la musica, cambiando l’ordine armonico, tanto per divertirmi?

Pensavo che bisognasse avere una risposta per tutto, che una donna capace, una madre, una nonna, dovessero avere sempre una risposta, o almeno farlo sembrare. Ora so che se vuoi il tuo universo nelle tue mani ti basta avere una domanda.

Chi sono io? Adesso che sono sopravvissuta alla vita degli altri, ora che ho oltrepassato la soglia, che non ho più riferimenti ed è tutto nuovo e la pagina è bianca, cosa voglio nel mio Universo? Cosa scelgo di essere? Come posso ricevere tutto da ogni energia che si manifesta senza escludere nulla, lasciando che gli spazi restino spazi aperti a tutto?

Ora nel mio giardino ho portato il sole e il vento delle isole, si sta bene, bisogna solo fare attenzione a non scottarsi, il sole filtra tra masse di nuvole bianchissime che fanno un gran fumo nell’azzurro del cielo.

Volare senza ali con le mie ali, verso la prossima scelta, scoprendo con meraviglia quello che di me ancora non conosco, con una coscienza che non separa nulla, attirando nel mio universo tutto ciò che può essere il miglior contributo alla mia scelta, senza il dubbio di fallire.

(Myo, luglio 2012)


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CHI SONO IO?

Sono acqua e fuoco, il riposo e il sonno, quando ho sonno. Acqua che scorre e il ricordo di te. La faccia di chi non ti ama, quella di chi ti ha sempre amato. Sono il tuo viaggio e il mio, lo scorrere del tempo e il tempo che passa su di me. Sono me e te, quel noi senza faccia e quel noi che ha le stelle al posto degli occhi. Sono questa prigione e la libertà di esistere lo stesso. Il bisogno e la sopportazione. Sono mio padre e mia madre, le mie sorelle sconosciute che ancora mi tengono in ostaggio dentro le loro ragioni. Acqua che si raccoglie e scende lungo le catene che mi affliggono i polsi.  Sono questi polsi minuti e le manine della mamma, sono acqua che smette di scendere quando meno te lo aspetti, sul più bello. Sono la confusione, come se la confusione avesse i piedi, come se la confusione avesse mani che dirigono il traffico della mente. Sono quell’espansione che arriva fino ai piedi per ricordarmi che sono viva e che è ancora tempo di volare via con tutte le radici e tutta la zolla di terra che le contiene, sono le radici, sono il buco vuoto che resta. Sono la musica e l’inciampo della puntina sul disco. A momenti sono il disco e il corvo sul ramo. Ancora acqua, lo scorrere dei suoni e la fragranza che si espande nell’aria. È ancora mattina e io sono il risveglio e l’acqua che mi lava. Sono il cibo ancora da preparare e quello già mangiato e sono la pentola che lo ha contenuto, che lo ha cotto, custodito nel suo processo, nell’alchimia della sua trasformazione e sono la chiave dimenticata fuori dall’uscio con la tenda tirata, sono lo spazio privato e quello sacro. Sono il suono e la corda quando è tesa e quando è rotta, quando vibra e quando è sorda, sono il cieco e l’invalido. Sono la lacrima e il riso quando è cotto e ti conforta se lo mangi. Sono la potenza di me, solo goccia caduta nell’oceano, sono la tua porta chiusa e il tuo rifiuto, la gioia condivisa e l’esperienza già fatta. Sono incognita e soluzione, la serratura e la chiave, una pietra scaldata dal sole che resta pietra e non si scioglie. Sono ghiaccio che lenisce la sete e la ferita. Grande quanto può essere grande una gazza rispetto a una formica. Il sale nell’acqua che bolle e le bolle del gioco delle palline di vetro. Sono il perdono e i miei piedi nell’acqua, i piedi nella sabbia che si riscalda al sole, il mezzogiorno e il cibo, un pisello, un fagiolino che si crede un carciofino, sono l’olio che da il sapore e il sale che brucia sulla ferita, la ferita aperta e il sangue che cola. IMG_0268-300x225L’energia quando sopravvive alla mancanza, la mancanza che si diverte alle mie spalle e che la dice lunga sulla tua partenza. Sono la ciotola e il riso. Briciole e formiche che si incontrano senza che nessuna resista all’altra, la scia quando si separa dalla lumaca, l’inseparabile guscio e la tartaruga che lo abita. Il chiasso della strada, la via a mezzanotte e l’ubriaco che barcolla, il suo destino segnato dal bicchiere che non è mai pieno. Qualcos’altro da me che non sei tu e non sono io, ma anche noi, uno di fronte all’altro. Il sole dopo la pioggia e la lumaca che si fa schiacciare dall’auto in corsa che non la può vedere e sono il copertone che si accorge di lei, senza saperlo. Il tamburo che suona senza essere sfiorato e la mano che batte alla ricerca del suono perfetto. Sono la penna di quell’indiano dalla faccia dipinta e il suo amuleto che scivola dalla tasca per essere ritrovato più in la e la mano che lo raccoglie, fingendosi dono. Sono. Sono il nero dello scorpione che non ti morderà se hai la cura di parlare al ragno. Sono il tamburo e la stoffa che lo ricopre, la stoffa che suona quando non suona il tamburo. Sono l’uccello che non si stanca mai di cantare, il raggio di sole che trafigge le nuvole, la gioia pura della meditazione, il respiro che contempla se stesso come vuoto e pieno, pieno e vuoto, come un grosso biglietto da 500€ che mi fa da specchio. Sono il cuscino che sostiene il mio peso senza fiatare e il fiato che ti aspetta senza pesare, il nodo del legno che qualcuno ha tagliato per me e l’odore della resina che mi ricorda la tua assenza. Sono chi non fa in tempo ad arrivare che è già partito, sono chi non vuole più tornare e già prega di riabbracciarti. Sono l’assenza che sta con la presenza di chi non tornerà indietro, sono la valigia vuota con tutto pronto sul letto e il lenzuolo che si fa dimenticare acceso come una lampada di carta che s’infuoca se dentro c’è la candela che si consuma nella danza delle maschere. Sono la corda da intonare prima che ceda sotto le mani di una minuscola creatura di carne così morbida da sembrare il burro che prepara la padella liscia come lo specchio dove si riflette il mare. Sono il mi del violino e il numero scritto sulla sua custodia aperta, che uno si aspetta che suoni come per magia, senza l’archetto, senza il tuo bacio.

IMG_1011-300x225Sono la pioggia del mattino e il fresco che viene su quando ti aspetti che piova e già fa caldo. Sono l’impazienza di rivederti e la gioia per la tua partenza, la speranza di avere più di un giorno ancora da vivere. Sono la porta aperta e già richiusa, la sensazione di fresco sulla pelle e il maglioncino rosa che mi rifiuto di mettere perché è troppo femminile e mi ricorda un tempo che non ritorna più in questo tempo e in un altro, non si sa chi sarò. L’idea che il destino non esiste e che lo posso creare nuovo in ogni istante, mentre credo che non sia possibile ho già riscritto la storia attraversandola come uno tsumami. Sono quell’altro che non sei tu nè io, sono la vecchia che diventerò se non sto attenta agli spifferi e sono la bambina che rischio di restare per sempre. Sono il tempo e la notte e questo viaggio che sembra per sempre. I numeri che non ho e quelli che ricordo a memoria. Sono la notte e il mattino presto quando vivere fa male al cuore e perdo il controllo chiedendomi dove andrò se non ci sei. Sono una figlia che rimarrà impunita per sempre. E questa notte buia senza stelle con le stelle appese al collo sulle perle che mi hanno rubato pensando che non fosse nulla. Sono il nulla e tutto l’insieme di me e di te, di me e di te. Sono il nostro viaggio per sempre dentro la tomba vuota di mia madre. Dentro le lenzuola dell’inverno senza caminetto acceso e senza niente da mangiare. Sono quel topo che ha rischiato di morire in quella notte di bambini dai riccioli biondi che si ripetono ancora e che sono già cresciuti mentre io invecchio e mi spoglio di tutta la vita possibile, con la stessa eleganza e, sono l’impossibile mentre la vita ancora si riflette in me, mentre sembra che non ci sia speranza. Dentro queste ossa di velluto e cinghie strette attorno alla vita, sono il ricordo e questo momento che sono la stessa cosa e battono lo stesso respiro. Sono i drenaggi che mi strapperanno e allora saprò che sono ancora viva e forse durerò quest’anno ancora. Sono – chissà se sarò viva nel terzo giorno della settimana–  mentre tu partirai ancora per bagnarti i piedi nel mare dei ricordi di papà che cucina per te e poi muore senza lasciare traccia, se non polvere, che assomiglia alla sabbia che calpesti tenendomi per mano. E poi il buio, ancora una volta il buio, mentre sorge il sole dentro la stanza che odora ancora di musica e essenze e rose.

IMG_1147-300x225Sono acqua di un fiume che scorre, sono la stanchezza accumulata da anni, sono la schiena spezzata del minatore e la sua rassegnazione. Sono mio figlio e le sue paure, sono la sua crescita e le sue conquiste. Sono il mio bacino che non vuole contenere più nulla, sono il vuoto e sono il pieno, le immagini che si presentano senza preavviso, sono l’albero di albicocco già provato dal tempo e le sue radici nel caos della terra. Sono il bianco del mio abito e il contrasto del kesa. Sono il biscotto dentro il latte che neppure bevo, sono il viaggio e le ceneri di un padre che si scioglie al sole. Sono il divertimento nonostante tutto e la stupidità di sentirsi fuori dai giochi. Sono l’egoista che sono e l’acido che viene su dalla gola, la schiena spezzata dalla mia insicurezza e dalle streghe che accompagnano la vita, sono il guerriero che sconfigge le streghe, sono la pazienza del tempo che scorre. Sono la mia dinamica e la rabbia di non saper affrontare tutto da sola. Sono la paura di non farcela e la preoccupazione, sono il sentirmi senza scampo. Sono le mail che non arrivano. Sono la distrazione che mi invalida, la stanchezza del mio corpo e la paura di non uscirne. Sono una pietra e la terra incrostata sopra. Sono la mia schiena dolorante e il guerriero che sconfiggerà il dolore. Sono la mia mano sul petto e il bisogno di riscaldarmi al sole. Sono quella che crede di non farcela e invece tutto accade. Sono aperta e chiusa, prima chiusa, poi aperta, sono l’archetipo e il numero dell’amore. Sono la formica che entra e esce dal tatami come una Ferrari in corsa, l’inconsapevole a caccia di guai, la definizione della sbagliatezza di me, entro ed esco dal bozzolo, mi controllo e mi faccio controllare, lascio l’essere essere se stesso, sono l’incontrollabile veloce come il vento, sono il mio intervento, la definitiva e ultima fragranza di me. Sono il Kombucha e lo zucchero che lo fa fermentare. Devo farlo stanotte.

(Myo, settembre 2013 )


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SCIVOLANDO DANZA

Dal portico con tre falcate lui arriva alla scala di pietra… sciuaff, sciuaff, sciuaff… arrivato in cima, si tuffa sull’amaca con la sua paglia accesa e se ne sta disteso a guardare il cielo, che ora sembra un quadro di Turner, coperto di nuvole frastagliate di grigio e azzurro che lentamente si anneriscono… forse ora gli tornano in mente le parole della canzone che ho scritto per lui, forse si deciderà a metterci la sua musica…Scivolando danza, tra pianeti e stelle. vola senza tempo, ruvida e lunare… scivola nel cuore, bianco come neve, ruvido e lunare. Un breve lampo taglia il cielo e dopo, il boato fragoroso.! Sarà meglio rientrare, arriva l’acquazzone.

(Myo, agosto 2012)

 

 


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SEI GENNAIO

L’hai fatto per me, per non lasciarmi mai, resti per sempre, amami per sempre. Non dolore nè solitudine, nè più paura in questa luce che diffondi ovunque fuori e dentro di me, ovunque si possa arrivare con questo spirito. Tu ci sarai a illuminare il buio della notte, ad ombreggiare il giorno fino a sera, lì dove per me già inizia il giorno. Amleto e Giulietta, Calvero e tu,  grande regista dell’amore che solo tu sapevi portare nel mondo che ora osservi da tutta quella luce che ancora ci attraversa, resterai, se avremo ancora una storia per comprendere, per ricordare.

Quest’albero è esattamente dove c’è la tua sedia, la sedia di plastica sgangherata dove siedi tu. In quel quadrato di giardino ho piantato il gelsomino che ho portato via dalla tua casa quando te ne sei andato e quest’anno, lì vicino sono spuntati centinaia di piccoli acerini verdi e adesso, il vecchio albero che oramai non dava più frutti è esploso di frutti che ti cadono in testa come tocchi di grandine mentre ti chini per raccoglierli…..

Qui capita spesso, un uccellino cade da un ramo e uno dei gatti che fanno la posta in giardino, lo  stana fino a tramortirlo. A volte la mamma di Guido li soccorre e mi chiede di fare qualcosa e io lo faccio. Quando hai scelto di lasciare il corpo, un uccellino è caduto da un ramo, il gatto l’ha preso, io l’ho chiuso tra le mani, ho pregato, l’ho portato con me vicino alla recinzione, sotto l’albicocco, lui ha spiegato le ali, si è aggrappato alla rete, ha fatto la profonda pulizia delle zampette, mi ha guardata ed è volato in cima all’albero più alto oltre la recinzione, un pino nel giardino del vicino, come a rassicurarmi che lassù – nessuno avrebbe potuto mai più fargli del male.

Un passerotto canta sul ramo anche se il tempo non è proprio bello, anche se un altro compagno più grosso lo scaccia dal ramo, anche se non è primavera. Non pensa: –eh no!, oggi proprio non mi va di cantare, perchè le cose non vanno come dovevano andare, perché il mondo è ingiusto, così sono troppo incazzato e guarda, -non canto! Lui canta per natura e per bellezza, lui canta. Come facevi tu.

La mia gatta non mi chiede cibo, guarda la sua ciotola vuota e mi costringe a guardare dalla stessa parte, poi senza fretta, mangia il cibo, non mette mai in dubbio se mangerà oppure no quel mattino. Mi ricorda te. Tutti facciamo accordi con questa esistenza e riceviamo risposte, se abbiamo una domanda. Micus, a-micus per me era l’anagramma di Music-a. Micus per me era la musica, ma anche la poesia e l’essenza di tutto ciò che ha un’anima, il mio Calvero, la mia più grande ispirazione. Trovo tutti i messaggi e non ho più paura, sento la sua voce che dice: Silvia, amami, amami, accendimi un lumino, tutto non è quello che sembra, ma è anche ciò che sembra.

Un poeta non possiede nulla tranne se stesso, se è fortunato. Lui aveva me, io avevo lui, così piango e poi rido, perché ho la tua promessa.  Non sento la mancanza, ero preoccupata di non poterti proteggere… ma un essere infinito come te, poteva mai aver bisogno della mia protezione? Non mi manchi perché hai tenuto fede alla promessa e come sempre, hai lasciato qualcosa di tuo perché lo trovassi, un dono inaspettato e sperato. Così hai indossato lo stesso maglioncino per tutto l’ultimo mese di vita in questa terra, un tacito accordo ed io, come sempre ho fatto finta di non sapere nulla, per non perdermi la sorpresa! Cosí quel mattino appena sono entrata in casa tua,  tu mi hai detto: …L’ho lasciato per te, non avere più paura, nessuno ormai potrà tentare invano di farmi del male!.

(Myo, gennaio 1015 )


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ANDATA E RITORNO

Dove siete finiti giorni tristi e bui? Quando tutto quello che sognavo finiva nel turbinìo del desiderio e del dubbio e la paura scorreva tra le lacrime al posto della fiducia? Ora che la morte lascia il posto alla vita anzichè al vuoto e alla perdita e crea rinascita e lascia fiori lungo il cammino… Ora che tutto è creazione perfetta, il pensiero è coscienza che forma, giorno per giorno, ora per ora, istante per istante questo unico istante e questo spazio di gioia…

(Myo, settembre 2015)